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Teatro dell'opera dei pupi

Al Teatro dell’Opera della Compagnia Teatrale Thalìa vanno in scena i Pupi siciliani

A Paternò, in provincia di Catania, i Pupi siciliani continuano a incantare grandi e piccoli al Teatro d’Opera dei Pupi, della Compagnia Teatrale Thalìa. Qui, grazie al lavoro sinergico e di profonda intesa di una squadra molto coesa, vengono portati in scena spettacoli dal grande impatto emotivo. La materia scenica trattata è un ricco campionario di drammaturgie, di effetti speciali, personaggi caratteristici e fiabeschi degni delle invenzioni poetiche sia del mondo immaginario feudale e rinascimentale che del primo Novecento. Proclamata dall’Unesco Capolavoro del patrimonio orale e immateriale dell’umanità nel 2001, l’Opera dei Pupi rimane una delle espressioni più significative della memoria storica e dell’identità culturale della Sicilia. Ne abbiamo parlato con il direttore artistico Antonino Viola.

Teatro dell'Opera dei Pupi, Compagnia teatrale di Thalìa
Quando e dove nasce la Compagnia Teatrale Thalìa?

«La Compagnia Teatrale Thalìa nasce nel 2013 a Paternò, a pochi passi da Catania e ai piedi dell’Etna. Un territorio vasto, che cambia continuamente paesaggio. Una città non di semplice lettura, diffidente da tutto ciò che è stata (fu sede anche di un principato sotto i Moncada), che negli ultimi decenni ha sofferto la sua troppa vicinanza al capoluogo etneo perdendone inesorabilmente l’identità e, forse, anche la volontà. La Compagnia è stata fondata da Massimo Scuto, Agnese Fallica, Antonino e Maria Viola».

E il Teatro dell’Opera dei Pupi?

«Inizialmente, l’attività della compagnia era solo ed esclusivamente incentrata sul teatro, con attori di prosa tradizionale. Solo dopo, a partire dal 2016, ha allargato i suoi interessi di sperimentazione verso il Teatro dell’Opera dei Pupi. Ovviamente, il seme di questa passione, nasce molto prima, sin da bambini».

Ci racconta in che modo?

«Quando Carmelo Viola, padre di Giuseppe, Antonino, Emanuel Francesco Viola e zio di Massimo Scuto, veniva spesso chiamato come “maniante” (animatore dei Pupi nel gergo dialettale) da varie compagnie del territorio, noi bambini andavano a vedere e a seguire da dietro le quinte spettacoli di Opera dei Pupi. Erano anni in cui la tradizione, trent’anni fa, crollava in una sorta di strano limbo biforcuto. Da una parte c’era l’ultimo, edulcorato, exploit dei festival della “Primavera catanese” di fine anni Novanta, più bella ancora nel disincantato ricordo dell’infanzia, dall’altra il disinteresse della politica che, di lì a poco, avrebbe generato una vera e propria crisi di questo mondo teatrale.

Teatro, pupi

Noi, Massimo Scuto, Giuseppe e Antonino Viola, crescendo assieme e infiammati da quel mondo, trasformavamo un gruppo di sedie in un piccolo palco per quei pochi, sgangherati e usatissimi primi Pupi, mettendo su piccoli spettacoli a emulazione dei grandi che vedevamo in scena. Quel tempo, l’infanzia, è un luogo dove il “gioco” del Teatro racconta la verità: una stoffa appoggiata allo schienale di una sedia è una scenografia; una testa di legno appena dipinta e attaccata a un pezzo di stoffa basta a identificare un personaggio magico, creature fantasmagoriche in dialogo con i paladini. Nacque così il seme di una passione che, molti anni dopo, portò a comprare i Pupi e a mettere su la Compagnia odierna dal punto di vista dell’Opera dei Pupi».

Chi sono i Pupi siciliani?

«I Pupi siciliani sono delle marionette. Anzi possiamo affermare per chiarezza che sono una tipologia specifica di marionette che rappresentano una forma di teatro nata nella notte dei tempi».

Qual è la loro storia?

«I Pupi, nella loro forma attuale, sono apparsi per la prima volta in Sicilia nella prima metà del XIX secolo, direttamente (e verosimilmente) dalla tradizione napoletana. L’Opera dei Pupi è stata una forma di spettacolo importante per il popolo siciliano che possiamo addirittura mettere in dialogo con l’esperienza della tragedia e della commedia nella Grecia classica. L’Opera dei Pupi si configurò quale laboratorio collettivo di democrazia dove distinguere la giustizia dalle ingiustizie, l’impulso dalla ragione, il bene dal male. Il tutto, intercalato in un mondo, quello del Medioevo Carolingio, contrariamente estraneo e trasognante rispetto alla realtà dei fatti. Il mondo della Sicilia a cavallo tra il XIX e il XX secolo, nonostante l’Unità d’Italia, le due guerre e sino alla tanto sospirata Riforma Agraria del 1950, era profondamente caratterizzato da un sistema economico, sociale e politico di tipo feudale.

spettacolo

Il latifondo imperava nell’aspra campagna siciliana come i feudatari e i loro vassalli del X secolo, con stesse logiche di sfruttamento del lavoro e abusi di potere. Così, per allegoria, il popolo siciliano si identificava ora in Orlando, Rinaldo o altri eroi della storia dei paladini di Francia come si identificava nei bravi e onesti proprietari terrieri; riconosceva il potere di Carlo Magno imperatore quale simbolo dello Stato; dimostrava insofferenza per i tradimenti e la malignità di Gano di Magonza. Si riconosceva, ancora, nella lotta contro i Saraceni, non in quanto musulmani o di diversa fede da quella cristiana, ma in quanto stranieri, quali aggressori, pur individuando in loro virtù e proprietà intellettuali spesso pure superiori a quelle dei vizi e capricci dei Paladini».

Teatro visto dall'alto
Mi viene da pensare che gli spettacoli teatrali dei Pupi non siano propriamente destinati a un pubblico di bambini…

«L’Opera dei Pupi, così come come tutto il teatro di marionette, non è un teatro destinato ai bambini. Certamente, i bambini possono fruirlo, ma previa una certa educazione dei temi trattati. L’Opera dei Pupi, quindi, parla della Sicilia ai siciliani e lo fa nello spirito più autentico comune ai grandi narratori dell’isola. La Francia di Carlo Magno è lo stesso concetto della Girgenti di Pirandello, la Regalpetra di Sciascia o ancora la Vigata di Andrea Camilleri. Un luogo letterario per astrarre e fantasticare sul proprio, riproducendone una nuova realtà ancora più nitida, cristallina e, spesso, amara».

Cos’è la narrazione per episodi?

«Altra caratteristica importante è che l’Opera dei Pupi, un tempo, aveva la necessità di una narrazione per episodi. Il pubblico, di grandi e più giovani, andava sera per sera a teatro per veder nascere, crescere, prendere le armi, innamorarsi, sposarsi, soffrire, vincere, perdere e anche morire i vari personaggi della storia dei paladini di Francia e di altre tantissime storie. Tutto questo ciclo poteva durare anche un anno intero.

armature

Con circa duecento o trecento episodi, o puntate se vogliamo, intervallato dalle cosiddette serate “speciali” (Natale, Pasqua, feste patronali, avvenimenti particolari), creava nel pubblico quella curiosità e passione che oggi ha eguali solo nel cinema seriale delle grandi industrie di series streming. La gente andava a teatro a conoscere sera per sera lo svolgersi della storia nel tempo, generando una formula di Teatro, anzi, con tutto l’affetto e stima per Eugenio Barba, di Quarto Teatro, che trova la sua logica nello sciorinarsi degli episodi sera per sera e, quindi, attraverso la quarta dimensione: il tempo».

E il progetto “Le Fabbriche dell’Opra”?

«Proprio partendo da quest’ultima considerazione, ovvero l’Opera dei Pupi e la sua dimensione temporale, la Compagnia Teatrale Thalìa ha affrontato sin da subito il tema del narrare per episodi. Le Fabbriche dell’Opra è il nome delle nostre stagioni di Teatro dell’Opera (in Siciliano Opra) dei Pupi. Un progetto per, appunto, rifabbricare diversi aspetti di questa sua specifica e imprescindibile formula narrativa che, però, ha bisogno di un nuovo pubblico. Da ricercare, anzi da “fabbricare” nuovamente. Mentre per il pubblico di un tempo era una condizione ovvia, per l’odierno pubblico, l’Opra sarebbe difficilmente fruibile sera per sera, episodio dopo episodio.

Teatro, logo della compagnia teatrale

Con Le Fabbriche dell’Opra, giunta alla terza edizione, abbiamo sempre trovato la capacità di attrarre e interessare il pubblico, specialmente dei giovani, paradossalmente più abituato alla narrazione in serialità rispetto ai loro diretti genitori, e a guidarli nei vari cicli e personaggi di cui sono animate le storie. Le Fabbriche dell’Opra vogliono quindi anche operare in controtendenza rispetto all’atteggiamento diffuso di Opera dei Pupi mercificata per la fruizione turistica e per il mercato scolastico, privi di progetti didattici di fondo, e per ridare all’Opra la sua dimensione originaria così da poterla traghettare, dalla tradizione del passato, all’attualità del nostro tempo».

Come vengono realizzate le marionette?

«I Pupi siciliani sono attori di legno, stoffa e metallo. Attori che, ovviamente, variano per altezze, tipologie, estetica e tecnica costruttiva da un capo all’altro della Sicilia. A Palermo, il Pupo è alto circa settanta centimetri, mentre a Catania, anticamente, i Pupi erano alti un metro e trenta centimetri. Oggi variano dagli ottanta centimetri al metro e venti. Tante le particolarità tra le due tradizioni (quella palermitana e quella catanese) nei dettagli e anche nelle tecniche di messinscena, che qui limiteremo al solo Pupo di tradizione catanese, essendo la tradizione territoriale del nostro teatro.

pupo

Il Pupo, in quanto attore di legno – si precisa da “Teatro” ovviamente, distinguendolo da quelli prodotti come articoli da souvenir che affollano le strade e i bazar dei centri turistici – è interamente costruito per l’azione scenica: si tratta di una struttura biomeccanica essenziale in legno. La testa, anch’essa scolpita in legno, viene agganciata al busto attraverso il ferro di testa. Gli arti superiori sono articolati e ben fissati ai segmenti del braccio attraverso spessi incastri di fil di ferro zincato. Gli arti inferiori sono fissati a una barra orizzontale ad altezza dell’anca, ma rimangono rigidi al ginocchio e privi di altre articolazioni. Per la manovra, il Pupo ha due ferri: uno alla testa e uno alla mano destra (chiusa a pugno) per impugnare la spada, e un filo alla mano sinistra (aperta), dove, nei Pupi armati, indossa lo scudo.

Teatro, pupi

Oltre che per lo stile e i metodi di manovra, le tradizioni isolane del Teatro d’Opera dei Pupi differiscono anche nella resa delle armature e, all’interno di ognuna delle scuole, anche per le diverse manifatture e i costruttori che nel tempo ne hanno pure cristallizzato le iconografie e fisionomie dei personaggi. Nella tradizione catanese, Orlando, il primo Paladino, è riconoscibile per l’effigie della colomba (anche se in molti casi si tratta di un’aquila), le vesti di colore rosso, i capelli e i baffi neri corvino. Rinaldo, il secondo Paladino, per le insegne del leone, le vesti verde smeraldo, i capelli, baffi e barbetta biondo dorato. Ogni personaggio ha una sua identità che ne riflette un proprio modo di parlare, anzi, di “essere parlato”, e un proprio modo di essere animato. Ogni Pupo, in ogni compagnia, ha delle caratteristiche, anche tecniche, che lo rendono unico per la modalità con la quale è realizzata l’armatura, per una sua speciale “preparazione” per un effetto o per subire un micidiale colpo mortale».

Chi sono “manianti” e “pruituri”?

«I “manianti” sono gli animatori, coloro che, dall’alto del ponte di animazione (“scannappoggiu”), muovono i Pupi attraverso i ferri di manovra. Ogni “maniante” deve porre assoluta attenzione alle parole del parlatore (“parraturi”) e ricordare tutti i passaggi, le entrate e le uscite discusse e decise durante le prove. Accanto ai “manianti”, subito dietro le quinte, si trovano i “pruituri” (letteralmente, i porgitori), coloro che assistono i “manianti” nelle entrate e uscite di scena porgendo loro i Pupi.

Teatro, manianti

“Manianti, pruituri e parraturi” mantengono un contatto visivo perpetuo. In quel loro scambio di sguardi, di emozioni, di sensazioni e di espressioni si trasmette alla marionetta tutto il pathos che la scena necessita. Nella Compagnia Teatrale Thalìa i “manianti” sono tre sul ponte di animazione: Carmelo Viola, il capo “maniante”, ovvero quello più esperto e, per convenzione, colui che manovra i Pupi “da ritta” (dal lato destro, si intende la destra di chi sta sul ponte); Emanuel Francesco Viola, “maniante da manca” (dal lato sinistro); e Antonino Viola, “maniante” dei personaggi aggiuntivi e di aiuto agli altri due animatori. Per le voci, il registro delle voci maschili recitate da Massimo Scuto e quelle femminili da Agnese Fallica. Dietro, come “pruituri”, ci sono Alessandro Schillaci, Martina Lizzio e Lorenzo Terranova alla regia dei suoni e delle luci».

Cosa raccontano i vostri spettacoli?

«Gli spettacoli che portiamo in scena sono tratti dal tema principale delle drammaturgie inerenti il Teatro dell’Opera dei Pupi, ovvero la storia dei paladini di Francia nella sintesi per l’Opra scritta da Giusto Lodico (1896). I copioni sono stati riscritti da Antonino e Giuseppe Viola con alcuni accorgimenti e riflessioni sulla fruizione dell’Opera dei Pupi oggi. La scelta di rispettare la tradizione è parte del nostro progetto: lo spirito dell’Opra, che vive nelle storie dei paladini di Francia, è strettamente legato alle ragioni che abbiamo sin qui esposto. La storia dei paladini di Francia è il riflesso letterario della storia del popolo siciliano.

marionetta

I grandi poemi del Rinascimento (“l’Orlando innamorato” di Boiardo; “l’Orlando Furioso” di Ariosto e “La Gerusalemme Liberata” di Tasso), scritti a Ferrara tra la prima e seconda metà del XVI secolo, costituiscono materiale a sufficienza per la maggior parte della grande tradizione del Teatro d’Opera dei Pupi siciliani. In particolare, la storia dei paladini di Francia, nella sua complessa macchina drammaturgica e cronologica, occupa gran parte della stessa storia del Teatro d’Opera dei Pupi. Serate e scene famose, come “l’arrivo di Angelica a Parigi”, “la Giostra di Argália”, “il Duello di Orlando e Rinaldo per amore di Angelica”, “la Morte di Agricane di Tartarìa”, o ancora “Rodomonte al Ponte di Isabella”, “l’ Assedio di Parigi”, “la Pazzia di Orlando”, sino alle “Nozze di Ruggero e Bradamante” e il finalissimo “Duello di Ruggero e Rodomonte”, rappresentano per le generazioni di donne e uomini siciliani quel laboratorio di civiltà e democrazia dove formare giudizi e sentimenti, emozioni e coscienza.

il campo di Agricane

E continua ancora oggi. C’è poi un filone narrativo abbastanza interessante al quale siamo legati e che, per la seconda stagione Le Fabbriche dell’Opra 2018-2019, abbiamo messo in scena. Sono “Le prime imprese di Carlo Magno” tra i primissimi capitoli dell’opera di raccolta di Lodico. Si tratta di un miniciclo di cinque capitoli che illustrano, in maniera molto romanzata e fantasticata, il cammino di Carlo Magno dalla “Morte di Pipino” all’esilio nella Spagna dei Mori, sino al ritorno e “Riconquista del Trono”».

Cosa si prova nel dare corpo, voce e anima ai vostri Pupi?

«È un processo che accosta l’azione spettacolare al rituale, antico e contemporaneo assieme, della simbiosi (oltre che osmosi) e fusione dell’uomo con la marionetta. È oggetto di nostro studio come durante lo spettacolo si consolidino in realtà tre diversi livelli di lettura dell’azione. Lo spettacolo totale, o meglio il risultato assoluto dato dalla sovrapposizione (a vista, o celata dietro i velluti del boccascena) di voce-maniante-Pupo; la parola, quindi l’attenzione che il nostro occhio e la nostra mente captano nel riflesso della voce e delle espressioni che ne accompagnano i gesti; la capacità di leggere le espressioni del personaggio attraverso le espressioni convenzionali, posturali della marionetta e facciali di “parraturi e manianti”.

Teatro, parraturi

Questi tre livelli, presi insieme o da soli, creano un rapporto strettamente necessario, non solo alla catarsi di ognuno di noi, ma anche e soprattutto alla riuscita dello spettacolo. Così succede (sempre) che mentre si tengono ben saldi i ferri e fili di un personaggio, a esempio, come Rodomonte – personaggio controverso che finisce per odiare tutto e tutti – durante il duello con Ruggero, si inneschi una tale rabbia (benevola) quasi come se ci si calasse nei panni del personaggio vivendo la sua tragedia. Sul ponte di animazione e davanti al testo, l’essere umano sperimenta le gioie e i dolori dei personaggi narrati, vivendoli attraverso i ferri e fili, imparando un potere che non conosce lati oscuri, nessuna controindicazione, nessun abuso e nessuna menzogna: il potere di raccontare le storie».

Quanto è cambiata la figura del “puparo” rispetto al passato?

Il puparo è, oggi come un tempo, quello che nel teatro di attori corrisponde grossomodo al “capocomico” (o per certi versi anche all’impresario). Tuttavia, il puparo un tempo era capocomico, costruttore, pittore, scultore, sbalzatore e cesellatore, scenografo e costumista. Vi era poi tutto un mondo che si muoveva attorno a questo teatro: costruttori artigiani specializzati, maestri intagliatori, fabbri e cesellatori dal grande valore artistico che ancora oggi ammiriamo e i cui nomi corrispondono a veri maestri, punti di riferimento.

pupo

Oggi però il ruolo del puparo si è modificato con la crescente domanda e necessità di organizzare il tutto. Le compagnie sono molto cambiate: abbiamo un direttore artistico, un regista, uno scenografo, un costumista, gli attori e i tecnici. Nel mondo dell’Opera dei Pupi ognuno di noi si occupa un po’ di tutto collaborando al “montaggio” dello spettacolo al pari di una compagnia di attori».

Quali soddisfazioni regala il portare avanti questa antica tradizione?

«C’è una frase di Gustav Mahler che risponde benissimo: “La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”. Purtroppo, molto spesso, l’atteggiamento nei confronti dell’Opera dei Pupi è un atteggiamento passatista, antiquario e conservatore. Eppure l’Opera dei Pupi, rispetto al plurimillenario arco temporale del teatro di marionette, è assolutamente coevo all’invenzione della fotografia e, se vogliamo, anche del cinema e della televisione.

interprete

Il vero fuoco da alimentare non sono i Pupi ma l’intera tradizione teatrale dell’Opra: con i suoi mestieri, codici della messinscena, i copioni, le note di regia e, soprattutto, la partecipazione emotiva (“psico motoria” nelle parole di Antonio Pasqualino) del pubblico. L’Opra è uno strumento narrativo che affonda le sue radici nell’era contemporanea, nonostante parli e tratti di cavalieri, paladini, di dame, draghi, re e regine. In virtù di questa forza che ha il Teatro dell’Opera dei Pupi, sappiamo che finché porteremo in scena ogni spettacolo, sarà sempre e soltanto, in quanto Teatro, rappresentazione e narrazione della drammaturgia, prima ancora che tradizione. C’è un disperato bisogno di ascoltare storie e un’altrettanta brama in noi di raccontare storie. Alla fine di ogni spettacolo, la soddisfazione più appagante è sentire la gente fare domande sull’episodio successivo o su un personaggio in particolare. Questo ci rende orgogliosi di ogni sforzo e ci permette di credere che finché ci saranno storie da raccontare, non ci sarà mai nessuna catastrofe, mai nessuna guerra e nessuna pestilenza così grande da cancellare la nostra identità».

(Foto: Opera dei Pupi Compagnia Teatrale Thalìa di Paternò, Pagina Facebook)

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